La caratteristica comune a questi disturbi è la rilevanza di sintomi somatici legati a disagio e compromissione significativi. La principale diagnosi di questa classe diagnostica, quella di Disturbo da Sintomi Somatici, dà rilievo a una diagnosi posta in base a sintomi e segni positivi (sintomi somatici che procurano disagio accompagnati da pensieri, sentimenti e comportamenti anomali, e comportamenti adottati in risposta a tali sintomi), piuttosto che all’assenza di una spiegazione medica per tali sintomi somatici.
Tali disturbi sono quindi caratterizzati dalla presenza di sintomi fisici che inducono a pensare a malattie di natura somatica, ma la causa di tali sintomi fisiologici, che non sono né simulati né sotto il controllo volontario della persona, è in realtà di natura psicologica.
Eseguire esami di tipo medico è importante per escludere possibili cause organiche, ma, quando questi hanno esiti negativi è importante chiedersi se il problema abbia una origine psicologica, anche se tale relazione non sempre è immediata: capita spesso infatti che vengano diagnosticati soltanto dopo molto tempo dalla loro comparsa, in quanto l’iter legato ai vari accertamenti e consulti di diversi medici, può essere molto lungo.
Inoltre, la diagnosi può non risultare facilmente accettabile dal soggetto, che può sentirsi non preso sul serio e ciò può favorire la ricerca di ulteriori consulti medici e la non risoluzione (o il ritardo nella stessa) del problema sottostante.
Molto comune è infatti la mancanza di efficacia di interventi di rassicurazione da parte dei medici, che nelle forme più gravi sono vissuti come insufficiente attenzione e scrupolosità rispetto alla diagnosi e portano alla ricerca di altro curante. Lo stesso accade qualora sia anche delicatamente sollevata l’ipotesi di una componente psicopatologica come fondante almeno in parte il disturbo.
Tali disturbi dimostrano come mente e corpo, entità spesso considerate come separate, siano invece strettamente collegate e interdipendenti, la psiche rappresenta infatti una complessa funzione del nostro corpo inscindibile da esso. Insieme formano un unico sistema integrato, influenzato da fattori biologici, psicologici, sociali.
Fermo restando quanto appena detto, probabilmente si tende ad identificarsi maggiormente con il proprio corpo che non con i propri vissuti mentali, al punto che a volte può essere accettato più facilmente un disturbo di natura fisica più che psicologica. Ciò che può accadere dunque è che inconsapevolmente si “preferisca” spostare, trasferire sul corpo o su una parte di esso ciò che è difficile affrontare direttamente, e che dunque si trasforma in qualcosa che si può affrontare dall’esterno, con una cura, un farmaco, un intervento medico, evitando così i vissuti emotivi scomodi che possono essere alla base della manifestazione somatica.
I disturbi da Sintomi Somatici insorgono spesso in concomitanza con fattori di stress psicosociale, con grandi cambiamenti nella vita del soggetto, più spesso eventi negativi, legati a un conflitto con un’importante persona di riferimento o a una perdita, rispetto ai quali il soggetto stesso inconsapevolmente si autocensura. Può conseguirne dunque, in personalità particolari, un’espressione del conflitto o del dolore psichico a livello corporeo anziché verbale. Il soggetto esprime quindi un disagio attraverso il corpo: un tentativo inconsapevole di gestire una situazione di conflitto utilizzando l’organismo o parti di esso.
È comunque doveroso precisare che la somatizzazione di per sé non è necessariamente patologica, può essere considerata come una modalità di risposta alle sollecitazioni ed agli stress della vita: si parla di veri e propri disturbi quando l’intensità e la frequenza di questo tipo di reazione divengono tali da generare una compromissione significativa del funzionamento della persona, quando creano un eccessivo ricorso all’assistenza sanitaria, quando il problema diventa invalidante.
Trattamento: Nel trattamento dei Disturbi da Sintomi Somatici la Psicoterapia Breve Integrata si rivela essenziale: un soggetto che sviluppa un disturbo di questo tipo, mostra infatti delle difficoltà a mentalizzare e a simbolizzare un conflitto interno psichico, che viene dunque spostato sul piano fisico. Ci si deve chiedere perché investe proprio quella parte del corpo e quale significato gli attribuisce, quali potrebbero essere i vantaggi secondari ottenibili con la malattia.
In generale è necessaria una buona collaborazione tra psicoterapeuta e medici coinvolti e tra questi e il paziente, fatto non scontato, in quanto egli spesso preferisce continuare a pensare che il suo problema sia fisico e non psicologico e spesso giunge al trattamento psicologico dopo molto tempo a causa dei lunghi (e onerosi) percorsi medici.
È importante focalizzare l’attenzione non tanto sul sintomo di per sé, ma su cosa questo può simboleggiare al fine di rendere tutto questo consapevole ed elaborabile. L’efficacia del trattamento psicologico dipenderà dalle capacità di professionista e paziente di superare la resistenza psicologica al cambiamento da parte dell’organismo e alla rinuncia agli eventuali vantaggi secondari apportati dalla presenza del disturbo. Il paziente dovrà imparare a riconoscere le proprie tensioni psichiche e le relative cause, oltre che a comprenderle e a gestirle in un modo alternativo.
La scelta del tipo di intervento dipende dalla gravità del caso. Risultano efficaci le terapie espressive e basate sul dialogo, le tecniche di rilassamento, i gruppi terapeutici e di auto-aiuto e, in alcuni casi anche una terapia farmacologica, valutata, ovviamente da un medico. Le terapie cognitive-comportamentali risultano efficaci nel permettere al paziente di tenere traccia di eventi, pensieri ed emozioni, in modo da favorire una maggiore “consapevolezza” di sé stesso, un’autoconoscenza sempre più approfondita che può aiutare ad elaborare in termini psicologici eventuali conflitti psichici e tensioni emotive, favorendone l’espressione attraverso canali alternativi al corpo.
Infine, anche le attività sportive, con gli effetti benefici che tutti conoscono (rilascio di endorfine, “sfogo” di tensioni emotive e aggressive, effetti a livello estetico, socializzazione, etc.), possono coadiuvare il trattamento di un Disturbo da Sintomi somatici.
In seguito a un’accurata valutazione sarà possibile stabilire dei percorsi terapeutici personalizzati che possano permettere a ciascuna persona di lavorare sulle proprie aree di debolezza e di mobilitare nel contempo le proprie risorse.
QUALI SONO I DISTURBI DA SINTOMI SOMATICI E I DISTURBI CORRELATI?
Il Disturbo da Sintomi Somatici viene definito sulla base di tre criteri e tre specificatori:
- presenza di “uno o più sintomi somatici che procurano disagio o portano ad alterazioni significative nella vita quotidiana”;
- presenza di pensieri, sentimenti o comportamenti eccessivi rispetto alla situazione di salute, ma ad essa correlati; in particolare devono essere presenti almeno uno tra pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità dei propri sintomi, un livello costantemente elevato di preoccupazione ansiosa per la propria condizione di salute o malattia, un eccessivo impegno di tempo ed energie, anche in forma semplicemente di preoccupazione, dedicati ai sintomi o comunque alla propria salute;
- la durata è di almeno 6 mesi anche se eventualmente in assenza di uno dei sintomi somatici da cui era originato.
Nei bambini, gli autori del DSM-5 segnalano che “i sintomi più comuni sono dolore addominale ricorrente, mal di testa, spossatezza e nausea”, mentre la preoccupazione rispetto alla malattia tende a comparire solo con l’età adolescenziale. Viene sottolineata l’importanza della reazione dei genitori rispetto ai sintomi, “in quanto ciò potrebbe determinare il livello di disagio associato” e per il ruolo del genitore nel determinare il ricorso alle cure (ma anche, ad esempio, quanto può essere ridotta la frequenza scolastica).
Viene definito da sei criteri e uno specificatore:
- preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia;
- sproporzione tra i sintomi eventualmente esistenti (ad es. eruttazioni, sensazione vertiginosa da passaggi posturali rapidi…) e il livello di preoccupazione, che a volte origina da una semplice situazione di rischio di poter sviluppare una patologia;
- presenza di una generale intensa ansia riguardante la salute, con tendenza a presentare reazioni di allarme rispetto alle proprie condizioni;
- messa in atto di comportamenti eccessivi rispetto alla propria salute, sia nel senso di una eccessiva ricerca di indicatori di malattia (oggi anche attraverso informazioni derivanti da siti Internet) sia viceversa nella forma dell’evitamento disadattivo;
- i sintomi sono presenti da almeno da 6 mesi, anche se con un variare del disturbo che il soggetto teme di poter sviluppare o di avere in corso;
- esclusione per diagnosi differenziale di altri disturbi (Disturbo da Sintomi Somatici, Disturbo di Panico, Disturbo d’Ansia Generalizzata, Disturbo di Dismorfismo Corporeo, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo Delirante a tipo somatico). Va specificato se il soggetto richiede l’assistenza sanitaria o invece tende ad evitarla, anche se questa seconda forma viene ritenuta più rara.
Caratteristiche non definitorie ma di supporto alla diagnosi sono la ricerca continua di assistenza medica e la tendenza a riscontrare complicanze iatrogene di test e procedure diagnostiche e/o terapeutiche in misura significativamente maggiore e con caratteristiche atipiche rispetto all’atteso.
Viene definito da quattro criteri diagnostici e due specificatori:
- presenza di uno o più sintomi di alterazione della funzione motoria volontaria o sensoriale;
- l’esame clinico deve fornire “le prove dell’incompatibilità tra il sintomo e le condizioni neurologiche o mediche conosciute”: non è sufficiente una “bizzarria” del dato clinico, ma devono esserci rilievi semiologici neurologici e/o internistici che escludano la compatibilità con una malattia neurologica;
- esclusione per diagnosi differenziale di altre condizioni mediche o mentali che possano meglio spiegare il deficit rilevato;
- il sintomo o il deficit devono causare “disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti” ovvero richiedano una valutazione medica.
Va specificato se si tratta di episodio acuto (durata inferiore a 6 mesi al momento della diagnosi) o persistente (durata superiore a sei mesi), nonché se sia presente oppure no un fattore psicologico stressante (che in caso deve essere descritto).
Bisogna prestare attenzione a escludere in Disturbo Fittizio o la simulazione di malattia, nonostante non sia sempre possibile avere prove certe sulla presenza o assenza di intenzionalità nel determinare uno specifico sintomo neurologico.
Viene definito da quattro criteri e uno specificatore:
- falsificazione di segni o sintomi fisici o psicologici, ovvero l’induzione di infortuni o malattia mediante un accertato inganno; viene precisato a questo proposito che, pur potendo essere difficile avere prova certa dell’inganno, non è possibile porre questa diagnosi in assenza di tale evidenza, non essendo sufficiente una deduzione riguardante l’intenzione o possibili motivazioni di fondo;
- richiede che il soggetto presenti sé stesso (o la vittima) come malato, menomato o ferito;
- il comportamento ingannevole sia palese, ma non necessariamente correlato a vantaggi esterni (in sostanza, quindi, la presenza di un vantaggio secondario non è ritenuta essenziale per la diagnosi);
- il comportamento non è meglio spiegato per diagnosi differenziale da altro disturbo mentale.
Ne esistono due forme, una in cui il disturbo è provocato a sé e una in cui è provocato ad altri, in tale caso la diagnosi è posta rispetto a colui che produce le manifestazioni mediche del disturbo e non alla vittima, che potrebbe essere diagnosticata come oggetto di un abuso.
Va specificato se si tratta di episodio singolo o ricorrente. Tra i criteri non essenziali per la diagnosi ma spesso associati si evidenzia una somiglianza con i Disturbi da Uso di Sostanze, con i Disturbi dell’Alimentazione e con i Disturbi del Controllo degli Impulsi. Viene inoltre precisato che la diagnosi non esclude che i comportamenti possano costituire agiti criminali, come tipicamente nel caso del Disturbo Fittizio provocato ad altri.